Far East

A DONGGUAN (CI) FANNO LE SCARPE di Mauro Baioni

L’imbarco dell’aliscafo TurboJet per la Cina è subito fuori il nuovo aeroporto di Hong Kong, sull’isola di Lantau. Lo scafo punta subito la prua verso l’estuario del Pearl River , poi prende a destra verso la baia di Shenzen. Le hostess di bordo portano i giornali, si assicurano che il getto dell’aria condizionata spari esattamente sul tuo collo, ti fanno allacciare la cintura e poi ti lasciano in pace a godere la traversata.In poco più novanta minuti di navigazione fra isole, file di cargo in attesa di caricare e boe provviste di ripetitore per i cellulari, arrivi al porto di Shenzen, nella “mainland”.
Da un anno, non è più necessario fermarsi almeno un giorno ad Hong Kong per ottenere il visto nella caotica e costosa città passata alla Cina nel ’98, ora le formalità vengono rapidamente sbrigate allo sbarco.
Bastano 30 euro ed una fotografia e l’efficiente doganiera ti infila con un sorriso il visto nel passaporto.”Welcome in China”, sussurra.I passeggeri sono di due tipologie: uomini d’affari di ogni nazionalità, con computer portatile e telefonino sempre in funzione, o quadri cinesi mandati in vacanza-premio per fare shopping nella scintillante metropoli di Hong Kong, carichi di valige; anche questi urlano eccitati al cellulare.

La nostra meta non è Shenzen, la prima, e più conosciuta, zona economica speciale, da dove è partito il formidabile balzo economico della Cina, è invece Dongguan una città un centinaio di km più a nord. Con Guangzhou, più conosciuta come Canton, costituisce il triangolo industriale dove la produzione di ogni tipo di bene di consumo sta facendo tremare gli operatori economici occidentali, perlomeno quelli che non hanno ancora investito qui.
Sul piazzale della terra ferma l’aria calda e umida ti investe, appannando gli occhiali e appiccicandoti la camicia sulla pelle. Un viale di palme porta rapidamente verso l’autostrada, sorvolata costantemente da aerei che volano bassi dirigendosi verso il vicino aeroporto. Il traffico, intenso e apparentemente senza regole, è formato da auto, Tir carichi di merci, camion con squadre di operai seduti sul cassone, moto, ciclisti con moglie sul portapacchi, pedoni che attraversano serafici al centro dei rondò trascinando per mano i loro bambini. Tutti si immettono senza fermarsi e spetta a chi sopraggiunge il dovere di evitarli, con sterzate, rallentamenti, salti di corsia e strepiti di clacson. Anche il più smaliziato automobilista napoletano sarebbe in seria difficoltà, guidando su queste strade. Il nostro accompagnatore, un giovane manager di una impresa italiana , che ci ha invitati a conoscere questo lato poco conosciuto della Cina, racconta divertito che firmando il suo contratto di lavoro gli è stato esplicitamente detto che l’assicurazione sulla vita sarebbe stata annullata nel caso in cui avessero scoperto che usava l’auto personalmente. Così viaggia in taxi o con il mezzo della ditta, provvisto di autista.
I cento chilometri di autostrada che congiungono Shenzen a Dongguan si srotolano lungo un’unica e ininterrotta teoria di capannoni industriali, molti in costruzione, attorniati da dormitori.
Bulldozer scavano la terra rossa preparando le fondamenta di un nuovo insediamento mentre file di carpentieri si arrampicano su impalcature di bambù per ultimare l’impianto vicino. Tutto sembra molto nuovo e ordinato, e, mentre la vista scorre su cartelloni pubblicitari con tutti i marchi conosciuti nel mondo -e qualcuno in più – capisci al volo, perché ci sei dentro fisicamente, che il futuro dell’economia è qui. Osservi da un’ora le fabbriche immense che si perdono quasi all’infinito, fin dove la vista arriva, e ti domandi per quanto tempo potrà resistere ancora l’industria da noi. E ti pare proprio che la partita sia persa…

Ogni tanto gli impianti industriali vengono interrotti da nuovi e lussuosi insediamenti residenziali. Li trovi quasi fuori posto, veri e propri villaggi chiusi, con una architettura sincretica, tutt’altro che sgradevole, che fonde stili coloniali, temi orientali della pagoda con linee urbane molto occidentali. Hanno piscine, laghetti artificiali, impianti sportivi e parcheggi colmi di Bmw, Mercedes, Volkswagen Santana e Buick.
Sono le abitazioni dei nuovi ricchi cinesi, della classe dirigente esplosa in questi anni, dei manager e imprenditori stranieri che vogliono anche il campo da golf a 18 buche: ne vedi più di uno, inaspettati.

 

Arriviamo al SamSaKai (Giardino del Nuovo Mondo), un complesso residenziale dove saremo ospitati. E’ un villaggio di centinaia di appartamenti distribuiti in torri di nove o dieci piani, palazzine più basse e ville con colonnati e giardini privati, cintato da un muro, da aiole fiorite e da una fila di negozi e bar lussuosi. Si entra con un badge che viene riconosciuto elettronicamente, una sbarra si solleva e un sorvegliante si mette sull’attenti al passaggio dell’auto. I vialetti che conducono alle abitazioni sono attorniati di prati curati in modo maniacale, decine di giardinieri sono al lavoro –pare che regolino l’erba dei prati tagliando i fili uno ad uno- mentre l’irrigazione automatica spande i suoi getti d’acqua e alcuni bambini cinesi escono dalla piscina accompagnati dalle baby-sitter che li avvolgono, premurose, nell’accappatoio.

Ogni trenta metri e ad ogni incrocio – i viali hanno targhe con nomi suggestivi, Pine Road, Lotus Boulevard, Lake-View Street – un sorvegliante in divisa, con walkie-talkie appeso alla cintura, attende sotto un ombrellone. Puoi chiamarli quando vuoi, a qualsiasi ora del giorno e della notte e per ogni tipo di bisogno: una lampadina bruciata o il rubinetto che perde? Avvertono l’amministrazione e nel giro di un quarto d’ora un artigiano , anch’egli con la divisa del residence, suona alla tua porta per risolvere il problema, scusandosi. Vivere qui ha costi quasi occidentali, gli appartamenti sono in vendita per 70/80/100mila euro e più, secondo la tipologia, le ville singole superano i 500mila euro, ma puoi anche prendere in affitto case ben ammobiliate per 600/700 euro mensili. Il livello di confort è molto alto: palestra, piscina,un lago artificiale provvisto di barche, negozi e ristoranti con prodotti occidentali, tv via cavo, collegamento Internet, rendono la vita comoda…una specie di Milano tre.
Anche l’interno dell’appartamento ha uno standard elevato: parquet chiaro, aria condizionata – l’umidità qui, è davvero alta- e finiture che definire “signorili” è poco. L’unico problema apparente sono gli elettrodomestici con le istruzioni in cinese, ma con 40/50 euro al mese ti mandano una ragazza due volte la settimana. Fa il bucato, le pulizie, stira e , prima di uscire, accende l’aria condizionata. Puoi anche non incontrarla mai, saldi mensilmente il servizio con l’affitto e le bollette.


Con un taxi si va a fare la spesa. A tre minuti di auto c’è un Walmart, un ipermercato della catena americana. Decine di negozi e un supermercato all’occidentale.
Si trovano quasi tutte le marche, la pasta Barilla , i pelati, l’olio di oliva ligure. I latticini sono australiani o neo-zelandesi, la birra cinese o tedesca, anche i vini possono accontentare i gusti più raffinati. I clienti cinesi, soprattutto i loro bambini, non si sono ancora abituati alla vista degli occidentali: ti vedono, si bloccano e ti indicano con il dito, soffocando un risolino con la mano appoggiata alla bocca come fanno quando sono imbarazzati.

Alcuni ti fermano, guardano cos’ hai nel carrello e ridono beati se riconoscono un prodotto cinese fra i tuoi acquisti; i più coraggiosi si lanciano in un”where you come from?” con le “erre” sostituite dalle “elle”, come da regolamento…
Fra gli scaffali sono esposte anche inquietanti buste trasparenti attraverso cui si intravedono stelle marine, pezzi di serpente, alghe e rane essiccate: sono i minestroni “pronti”.
Della maggior parte delle confezioni non capisci il contenuto, a meno che non sia illustrato sulla busta. Al reparto frutta e verdura ti attende un’orgia di colori e profumi, metà della verdura esposta non l’ hai mai vista prima; il riso è proposto in decine e decine di qualità, e poi uova di anatra, di quaglia, uova centenarie nere, ricoperte di guano (almeno così pare). Ci si aggira fra i banconi con l’aria straniata e si tocca e si rigira ogni cosa prima di acquistarla; se non vai sul sicuro comprando marchi occidentali conosciuti, far la spesa diventa un’attività spossante se hai fretta, può essere invece molto divertente avendo tempo da impiegare nell’esplorazione.

La città è nuovissima e ti sorprende : non ha quasi nulla dello stereotipo “cinese”- quanti luoghi comuni dovremo abbandonare in fretta-, con i suoi rivenditori di Mercedes, i McDonald, i trilli dei cellulari. Si dice che negli anni Ottanta avesse poco più di ventimila abitanti, nessuno è in grado di dire esattamente quanti siano adesso: pare ne abbia sette o otto milioni. Si susseguono palazzi ed alberghi imponenti, con vetrate verdi ed azzurre. I viali sono delimitati da alberi di mango, con spazzini costantemente al lavoro per ripulire i marciapiedi lastricati. Dicono che la vicina città di Foshan sia una Sassuolo moltiplicata per cento che sforna milioni di piastrelle con le quali si ricoprono oltre ai marciapiedi, anche gli esterni delle abitazioni.
I taxi sono migliaia, quasi tutti Volkswagen Santana, una specie di Golf a tre volumi prodotta qui. Non sempre si è sicuri che il taxista conosca la strada, può capitare che l’autista sia giunto da poco in città dall’interno e allora dovrai essere tu a spiegargli la strada; perciò si viaggia sempre con in tasca un cartoncino con l’indirizzo di destinazione in cinese; anche usando questo accorgimento, a volte sarà necessario scendere e cambiare taxi. L’autista non si offende, anzi: ti sarà riconoscente per averlo levato dall’imbarazzo.
L’atmosfera, a parte l’afa e i cellulari ostentati alle cinture – la Cina è ormai il primo mercato mondiale dei telefoni portatili- , è quella delle metropoli italiane del Nord negli anni cinquanta; si ha la netta impressione che la città si espanda: lavori in corso dappertutto, per nuove strade, centri commerciali, fogne e impianti tecnologici. Si costruisce il nuovo ma edifici recenti sono già in ristrutturazione , si ampliano strutture che sembrano appena finite, in un lavorio continuo. Si cammina in fretta e ogni giorno arrivano nuovi abitanti, li riconosci perché hanno l’aria spaesata quanto la tua.

 

In molti ristoranti puoi mangiare all’occidentale (gamberoni o filetto, patatine fritte,birra, tiramisù) con meno di 15 euro; se invece sai ordinare, o se qualche cinese ti accompagna e lo fa per te, puoi pranzare benissimo con 3-4 euro in locali tradizionali cinesi molto puliti.
Nei locali all’occidentale, come capita anche ai bordi delle piscine dei residence, puoi fare la conoscenza dei più fantasiosi e dinamici business-men che sia possibile immaginare.
Sono tutti molto giovani, difficilmente superano i 35 anni e raccontano storie che, prima, avevi letto solo nei romanzi.

C’è Gilbert, un francese nato a Tel-Aviv, venuto qui tre anni fa a seguire la lavorazione di T-shirt e borse della kookai, con un contratto di un anno. Non è più ripartito. Ha una ditta con 150 operai che produce cavetti per la ricarica dei cellulari. A tempo perso segue ancora la produzione di prodotti tessili e borsette su commissione di ditte europee, prendendosi una percentuale.
Ci sono
finlandesi e norvegesi della Nokia, i soli con la famiglia, che hanno un autobus tutto loro per recarsi in fabbrica e mandano i bambini all’asilo internazionale. Uno svedese si vanta di lavorare per una compagnia che ha quasi il monopolio mondiale per la produzione di suole in gomma.
Un
brasiliano produce scarpe; pare incredibile, ma gli conviene farlo qui anziché nel suo paese. Ha importato una Harley Davidson, ma non ha potuto omologarla, così, finito il lavoro, gironzola con il motore al minimo nei vialetti privati del residence offrendo passaggi a tutti, anche agli inservienti.
Alcuni uomini d’affari della vicina Honk Kong, mantengono qui le loro amanti. Sono chiamate le seconde mogli; lontane dalla famiglia ufficiale, le vengono a trovare nel week-end. Costano meno e non disturbano: pragmatismo orientale. Loro passeggiano in tuta dal lunedì al venerdì, per poi sfoderare abiti eleganti già dal sabato mattina.
Un trasportatore veneto, con uffici in quasi tutte le aree del mondo, ti intrattiene sulle problematiche del trading. Pare che in Francia sia impossibile trovare un aereo-cargo per fare spedizioni nel periodo di esportazione del Bejoulais, lo stesso succede in Piemonte quando è stagione di castagne. E’ venuto a salutare un suo cliente, facendo una scappata da Hong-kong e, intanto, acquista decine e decine di vestiti, a tre euro l’uno, per tutti i bambini dei suoi vicini di casa. Ha portato dei bei pezzi di parmigiano sotto vuoto in regalo agli italiani che vivono qui e sta mostrando felice la copia perfetta di un Rolex appena acquistato a Shenzen.. Riparte subito per l’Australia dove l’attende un produttore di vini che vuole esportare a Pechino, ma forse prima farà in tempo a dare un ‘occhiata ad un ufficio che vorrebbe affittare vicino al nuovo centro espositivo, che è quasi ultimato. E’ indeciso se prenderlo qui o a Canton, il nuovo aeroporto appena inaugurato pare offrire buone prospettive così come la nuova metropolitana che fra due o tre anni congiungerà Shenzen a Canton.

Poi c’è Oscar, un italiano di 33 anni, nato a Basilea dove i suoi genitori erano emigrati dal Veneto. Là, in una scuola professionale, ha imparato a disegnare e fare scarpe; in seguito ha studiato l’inglese con un corso su audio-cassette. Eccolo qui. Arrivato da quattro anni, anche lui con un contratto iniziale di sei mesi per fare scarpe per una ditta di Montebelluna. Ora lavora per una multinazionale di calzature giapponese, ha un contratto fisso di 17mila dollari al mese per disegnare modelli di scarpe. Prepara due o tre disegni al giorno, rigorosamente per piedi femminili, li invia con il fax a Tokio e, quando qualche progetto viene approvato, li mette in produzione, seguendo il processo passo per passo, aggiungendo al suo guadagno fisso la percentuale sui pezzi prodotti. A volte la prende anche sulle pelli che fa importare dall’Italia, per qualche modello sofisticato che lo richieda. Ha pure aperto due negozi a Canton, con scarpe che disegna lui con un proprio marchio, ma è in trattativa con un gruppo finanziario cinese per cedere negozi e marchio. Pare che un nome italiano sulle scarpe, il suo, faccia vendere da matti. E a riprova, in tutta la Cina è diffusa una catena di negozi di abbigliamento di Hong Kong che si chiama Giordano, vende abbigliamento disegnato e prodotto localmente, ma il nome italiano attira i clienti e riempie i negozi.

E’ lui che illustra la macro-economia delle calzature: “ Qui a Dongguan ci sono due fabbriche che producono per Adidas e Nike, insieme hanno più di 100mila operai. Quando un marchio mondiale produce un nuovo modello, lo vende in tutto il pianeta, sostenuto da cataloghi e spot pubblicitari. Occorrono milioni di scarpe uguali e nello stesso periodo. E’ solo qui che puoi averle in questa quantità. Se vado in un calzaturificio italiano e chiedo di mettere in produzione un milione di scarpe ti prendono per matto, e comunque, non sono in grado di farle nei tempi richiesti. In cambio qui, se voglio solo 20mila paia di sandali, mi rispondono No. E’ troppo costoso attrezzare una linea di produzione per così poco…solo qui hai i numeri per la produzione di marchi globalizzati, in Italia puoi fare le scarpe ad alto target, e solamente finché avranno gli operai per poterlo fare, perché fanno fatica a trovarne.

Anche qui, del resto, la qualità è solo questione di costi.
E riguarda tutti i generi di prodotto, dalle calzature al tessile, all’elettronica. Il
made in China, non è più sinonimo di bassa qualità e quando in Europa si sarà superato questo pregiudizio, la produzione decollerà ancora di più”.
Continua Oscar. “Hai idea di quanti capi arrivano in Italia
smontati, ad esempio camicie con i loro colli spediti separatamente, per essere rimontati e imballati e poter avere il marchio made in Italy?. Date retta a me: l’America è qui, il futuro è qui; fermatevi qualche mese e troverete senz’altro qualche buon affare anche voi. In alcune città le amministrazioni locali regalano le aree per costruire fabbriche, mandi i disegni delle strutture e in pochi mesi ti consegnano i capannoni con tutti gli allacciamenti.

Non ti costa niente, gli basta che assumi, e bada bene che qui non trovi solo operai, ma anche tecnici e ingegneri. Tu porti i macchinari e loro ti portano la manodopera. Ho un amico che ritira dalle manifatture i ritagli di pelle avanzati dalla lavorazione delle scarpe. Quando arrivano i container li svuota in un capannone dove centinaia di operai assunti a giornata- tutto in regola, neh?- li smistano per colore e qualità; li rivende alle fabbriche che producono sandali o borse intrecciate. Ma poi ritira anche i loro residui, vengono sbiancati, triturati e stesi in fogli, ne viene una specie di truciolare di pelle, e vende anche quelli. Li usano per fare solette. Beh, questo mio amico guadagna più di mezzo milione di euro al mese! . Ma dove vai per trovare un altro posto così?”, conclude Oscar.

Alcune grosse fabbriche si trovano a Gaobu, una città, un tempo autonoma, ormai inglobata nella più grande Dongguan. E’ attraversata da un fiume che poi si getta nel Pearl River. Fra dormitori e capannoni che si estendono a perdita d’occhio, sopravvivono , chissà come, antiche pagode e alcuni ponti ad arco che fanno intravedere la grazia costruttiva di un tempo. Nonostante il fiume sia nero ed emani inquietanti esalazioni , vi galleggiano barche a remi con uomini intenti a pescare…è anche stato ultimato da poco un improbabile Yacht Club: villette basse, con vetri all’inglese, affacciate su una fogna all’aperto. L’inquinamento è un vero problema. Mi dicono che ora un po’ di sensibilità ambientalista si faccia strada, almeno sui giornali locali, e che ai nuovi impianti industriali venga richiesto di installare depuratori, ma chissà quanto tempo occorrerà per recuperare una situazione così compromessa.
La città pulsa. Non è rumorosa, ma indistinte vibrazioni ed un ronzio di sottofondo richiamano alla mente l’atmosfera dei nostri distretti industriali- Sesto S.Giovanni, Mirafiori, Lumezzane – quando ancora il nostro sviluppo industriale era in corso. Anche l’aria odora di nafta e di gomma bruciata. Poche biciclette passano sulle strade, ed anche quelle fanno parte della produzione, cariche come sono, in modo inverosimile, di merci di ogni tipo. Sono i camion e berline lucide i padroni della circolazione. File di ciclomotori parcheggiati nei cortili delle aziende danno il segno dell’aumentata capacità di spesa degli operai.
Qui è il regno dei “terzisti”: i marchi occidentali preferiscono non figurare in via ufficiale e affidano la produzione ad aziende “cinesi”. E’ diffusa l’impressione che le condizioni di lavoro nelle fabbriche cinesi siano molto peggiori di quelle, tutto sommato decenti, gestite dagli occidentali.

L’esplosione dell’attività industriale in questo territorio ha prodotto una grande immigrazione interna.
Tutti gli impianti sono affiancati da dormitori. Gli operai vivono qui gran parte dell’anno, tornando a casa in occasione del Capodanno cinese. La concorrenza fra le varie aziende, nel reperire manodopera, si esplicita nei “servizi” che possono offrire, dato che la retribuzione è molto livellata. Così avviene che alcuni operai cambino fabbrica perché nella nuova il dormitorio ha stanze da 4 posti, anziché camerate da 10/12 letti, o perché nel dopolavoro si organizzano tornei di badminton (il nostro volano) o anche solo se c’è un locale per il karaoke.
Tutte le stanze dei dormitori hanno balconi, sui quali sono stese ad asciugare le tute di lavoro ed i vestiti. L’occupazione femminile è molto alta. Le operaie vengono dall’interno, dalla campagna, portate qui dal passa parola . In ogni azienda a capitale straniero, quelle di
processing trade ( ditte che costruiscono, trasformano e reimportano all’estero il prodotto finito senza poterlo vendere sul mercato interno) esiste la figura del Commissario politico, che bada a molte delle pratiche burocratiche, gestisce i rapporti con le autorità locali e a volte,dà una mano per risolvere le esigenze di manodopera. Pare che funzioni…

Le operaie sono molto giovani, fra i 18 e i 23 anni. Investono alcuni anni della loro vita lontano da casa, per poter aprire un negozio nella loro provincia oppure per mettere da parte la dote. Alcune, però non resistono per il tempo che si erano prefissate e, dopo essersi recate a trovare la famiglia nella vacanza del Capodanno, semplicemente non tornano più. Gli uffici del personale sanno già che il 15-20% degli addetti, dopo la chiusura per le festività, dovranno essere rimpiazzati.
Così, i manager, avendo scoperto che anche la grande produzione di serie ha bisogno di manodopera stabile per garantire la qualità, iniziano a ricorrere agli incentivi. In questo paese, nominalmente comunista, non esiste la pensione, riservata ai dipendenti pubblici, ed anche l’assistenza sanitaria pubblica e gratuita, come abbiamo noi, qui è sconosciuta.

C’è un sistema centralizzato di assegnazione della copertura medica davvero bizzarro: all’interno della programmazione annuale si fissa un obiettivo numerico di manodopera che deve avere la copertura sanitaria; il numero viene suddiviso fra le Province dove i vari Governatori distribuiscono fra le aziende del loro territorio il contingente. Infine, il Commissario politico di una manifattura si presenta al manager e riferisce che, per quest’anno, occorre estendere l’assistenza medica ad un gruppo di 50 operai. Avviene così che nello stesso luogo di lavoro una piccola parte degli operai – quella da premiare- fruisca del benefit deciso a Pechino, mentre la maggioranza dovrà pagarsi il medico. Qui non esistono i medici di famiglia, si va in ospedale o in un ambulatorio privato; l’assistenza non è da terzo mondo, ma non è gratuita. Non è molto diverso dagli Stati Uniti.
Alcune aziende, le più illuminate, e comunque sempre con un
management occidentale, hanno introdotto una sorta di mutuo soccorso: una piccola trattenuta dal salario, integrata dal datore di lavoro, consente di istituire un fondo per le operazioni chirurgiche più serie, o per gli infortuni.
La retribuzione base minima garantita di un operaio è di 450 RMB (pari a circa 45 euro mensili), ma l’alloggio ed i pasti sono compresi. La diversificazione salariale è molto più estesa che da noi; è possibile che le retribuzioni si moltiplichino 5 , 10 volte e più, in base alle capacità. Non è infrequente trovare un’elite di lavoratori con salari vicini a quelli dei nostri operai poco qualificati. Sono i tecnici o i caposquadra –contesi dalle varie aziende-, che arrivano a prendere 800 euro al mese. Del resto l’imperativo della produzione è uguale ovunque:se hai un obiettivo da raggiungere devi pagare la gente a prezzo di mercato, non puoi permettere che ti scappi: potresti non essere in grado di consegnare in tempo,
perdendo la faccia che è la definizione data al disonore di chi non mantiene la parola.

Perché la frenesia qui pare non avere limiti. Se la Cina intera da qualche anno riporta un aumento medio del PIL dell’8% – percentuale che si “spalma” su tutta la nazione, comprese le zone agricole, più periferiche rispetto alle dure leggi del mercato – qui il dato è a due cifre. Nell’annuale convention di fine anno, il Governatore ha incontrato i manager stranieri lamentandosi che, a causa della SARS, il PIL della Provincia era aumentato solo del 18%, anziché del 23-25% degli anni precedenti. Nel corso del 2004 il fabbisogno di energia elettrica della città di Dongguan è aumentato del 45%. Unendo questo dato a quello, senz’altro analogo, delle altre province a statuto speciale, si spiegano gli sconvolgimenti del mercato mondiale del petrolio e delle materie prime, se è vero che, in tutta la Cina, la produzione elettrica del 2004 ha avuto un aumento pari all’intera produzione annua di Francia ed Italia messe insieme.

A GaoBu, per far fronte al disperato bisogno di energia elettrica, vengono effettuati dei black-out programmati. Così un venerdì pomeriggio capita di vedere file ordinate di operaie uscire dai capannoni e riversarsi nei cortili: l’azienda è stata avvertita per tempo che l’energia elettrica sarà sospesa .La produzione sarà recuperata sabato, o domenica mattina.
Tanto gli operai sono lì, comodi, mica vanno a casa…

– copyright febbraio 2005-